Dopo quattro anni, il mandato di Donald Trump giunge al termine. Ormai l’insediamento di Joe Biden come quarantaseiesimo Presidente degli Stati Uniti è imminente, e iniziano a comparire i primi bilanci della presidenza Trump. Il governo di una paese grande quanto gli USA non si può di certo valutare in termini temporali così brevi. Ci vorranno mesi, anni, per poter comprendere gli effetti delle politiche messe in atto durante questa amministrazione.
Alcuni effetti della presidenza che sta per terminare, tuttavia, sono già visibili oggi, tanto da voler essere corretti dal presidente eletto non appena insediato. Basti pensare alle rigide politiche anti-immigrazione, perdita di diritti per coloro che si trovano nel Paese da quando erano bambini, il disinteresse per la NATO, l’uscita dall’Accordo di Parigi… Tuttavia, ciò che più ha segnato questi anni, e segnerà quelli a venire, è la caratteristica più evidente del prossimo ex-presidente: la post-verità.
Trump e il boom della post-verità
La parola post-verità, traduzione dell’inglese “post-truth”, nonostante fosse già attestata dagli anni ’90, si è diffusa soprattutto a partire dal 2015/2016. L’impulso che Brexit e le elezioni negli USA diedero al termine fu tale da portare l’Oxford English Dictionary a eleggerla Parola dell’Anno per il 2016.
Il termine, secondo la Treccani, indica “un’argomentazione, caratterizzata da un forte appello all’emotività, che basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati tende a essere accettata come veritiera, influenzando l’opinione pubblica”. In una condizione di post-verità, dunque, i cittadini non riterranno più fondamentale la realtà oggettiva di un’affermazione: è la capacità di suscitare un’emozione (spesso l’indignazione o la rabbia) a rendere “vero” un fatto o una notizia.
Trump ha basato la sua carriera politica sulle emozioni, spesso tutt’altro che positive. Disprezzare l’avversario, o addirittura prendersi gioco di persone disabili, giusto per citarne una, è stato il fondamento della campagna elettorale del presidente.
Ovviamente abituare un pubblico a credere anche alle cose più inverosimili porta a renderlo estremamente manipolabile dal burattinaio. E cieco. Nonostante un bombardamento costante di nuove accuse contro Trump, la sua base elettorale non ha mai vacillato. Non sono bastate accuse di molestie sessuali, accuse di collaborazione con la Russia, gli evidenti abusi compiuti per arricchire i propri business sfruttando le risorse della Casa Bianca. Anzi. La pioggia di accuse ha sortito l’effetto opposto: grazie all’abilità comunicativa dello staff del presidente, si è formata l’immagine di un presidente sotto il costante attacco (immotivato) dei Democratici.
Gli effetti della post-verità sui cittadini
Scelte comunicative simili portano a sostanziali cambiamenti nella mentalità di chi è circondato da tali atteggiamenti. La stampa libera, ad esempio, viene costantemente accusata di essere di parte, non allineandosi alla volontà della massa. Sempre Trump ha inoltre insistito molto sulla “superiorità” dei social e della TV (se schierata dalla sua parte) rispetto ai giornali e ai loro siti. Come risultato, la stampa è sempre più in difficoltà, in un momento storico in cui le risorse finanziare del settore sono molto ridotte.
Ciò che più rimarrà di questo periodo, tuttavia, è una polarizzazione della società difficilmente risolvibile. Molti leader hanno infatti deciso di proseguire la strada avviata da Trump, continuando sul cammino dell’autoreferenzialità e del tifo cieco. I cittadini finiscono così per trovarsi nelle cosiddette “bolle”, cioè esposti solo a contenuti e persone a loro affini, perdendo la capacità (fondamentale) di dialogare.
Il problema delle bolle nasce nei social ma si diffonde poi anche al modo con cui ci informiamo, ovviamente. Non si riesce più, quindi, ad avere un’informazione ad ampio spettro. Si leggono molti siti, molte testate online, ma solo vicine alle nostre posizioni, limitando enormemente la capacità comprensione del mondo.
La post-verità di Trump dopo le elezioni
L’apice di questa visione della realtà distorta si è raggiunto durante il voto, e subito dopo. Il presidente uscente e il suo staff hanno immediatamente cominciato a denunciare brogli nelle procedure elettorali, senza alcun fondamento. La situazione è peggiorata, tanto da costringere varie emittenti ad interrompere il collegamento in diretta con il presidente. L’inquilino della Casa Bianca stava infatti tenendo una conferenza stampa in cui ribadiva le sue accuse, consapevole di non aver alcuna prova a riguardo. Vari canali si sono quindi opposti a tale attacco alle istituzioni democratiche, “oscurando” il presidente.
Nelle ultime settimane la situazione non è cambiata: il presidente continua a mantenere la sua posizione, una fetta importante della sua base elettorale continua a sostenere le sue accuse, ma ogni tentativo di invalidare voti (o addirittura di violare la volontà espressa dai cittadini) si infrange nelle aule dei tribunali. Anche il procuratore generale USA William Barr ha dichiarato, a inizio dicembre, che non sono state trovate prove di alcuna frode elettorale.
Pensare poi che dipendenti statali ricevano minacce di morte a causa del loro lavoro da parte di fanatici trumpiani, come accaduto in Georgia, dovrebbe far venire i brividi.
Il tempo di Trump, per ora, è finito, ma molti altri politici seguono le sue orme, e la società della post-verità non sembra finire. Saranno l’impegno della politica, dei cittadini e il passare del tempo a decidere fino a quando rimarremo in questa situazione.
A cura di
Federico Villa
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