Leggende norrene e gruppi di Facebook, romanzi fantasy e siti di informazione online. Che cosa unisce questi mondi così lontani tra loro? La risposta a questa domanda sono i cosiddetti troll.
I troll ai giorni nostri
I troll, nel nuovo millennio, non sono più semplicemente dei mostri frutto della fantasia di qualche scrittore o protagonisti di storie tramandate dalle tradizioni popolari. Questi sono dei soggetti che, con la protezione dell’anonimato, partecipano alle discussioni sul web con il preciso intento di sabotarne il corretto e educato andamento. Una specie di nuovi mostri del mondo tecnologico.
Basta iscriversi su un qualsiasi social network, specialmente Facebook, per potersi imbattere in una discussione naufragata in litigio, oppure in commenti negativi e offensivi sotto a foto o post. Il mondo virtuale si trasforma così in una giungla in cui vale solamente la legge del più forte. O meglio, di chi riesce a prendere più likes.
Faccia a faccia con un troll
Che si tratti di cucina, sport e naturalmente di politica, ogni conversazione tra utenti può essere infangata dall’intervento di troll, che riescono a dirottare le discussioni usando un linguaggio poco rispettoso e aggressivo, spesso fuori contesto e volutamente irritante. Questi commenti postati da utenti troll, che generalmente si nascondono dietro ad account falsi, nickname o pagine provocatorie, ricevono sempre molto interesse e apprezzamento in termini di likes, scatenando reazioni a volte molto violente, riuscendo così nel loro intento.
A causa della sbagliata concezione del mondo virtuale – concepito come qualcosa di lontano dalla vita reale – spesso gli utenti non si rendono conto della gravità di alcuni commenti. Questi contengono insulti, pregiudizi sessisti o inappropriati, difficilmente riproducibili conversando faccia a faccia, senza intermediazioni tecnologiche.
Lo scopo principale di questi individui è quello di aizzare gli impulsi più viscerali degli utenti che leggono il post o la conversazione e che, imbattendosi nei commenti dei troll, alimentano a loro volta l’odio e la rabbia online.
Educazione civica digitale vs. troll
Come si può evitare che questi utenti continuino a influenzare negativamente il mondo di internet e la diffusione delle notizie online? Innanzitutto è necessario accorgersi, quando si naviga su un social network, se ci si è imbattuti in un commento di un troll e, di conseguenza, non alimentarne la diffusione commentando o mettendo like. Una corretta educazione civica digitale, cioè una miglior comprensione dei mezzi e del mondo virtuale, unita alla consapevolezza dell’impatto delle proprie parole sugli altri utenti, aiuta ad avere un migliore approccio alle discussioni sul web. Una maggiore attenzione ai contenuti che pubblichiamo può rendere la rete un luogo di condivisione più civile, e non un terreno fertile per la diffusione di odio da parte di pochi utenti.
Inoltre, occorre prestare attenzione al contenuto dei messaggi pubblicati. Spesso, pur provocando facilmente ira e risentimento, non sono altro che affermazioni tendenziose, irrazionali, fuori contesto, se non addirittura palesemente inventate dai loro autori. Considerare questi messaggi degni d’importanza e di fiducia è dannoso sia per chi risponde sia per chi li condivide. Tenersi informati e controllare le fonti di quanto riportato rende possibile smascherare i troll e il loro non condivisibile intento.
Le comunità di troll
Il problema si aggrava quando ci si trova davanti non a un solo utente con queste intenzioni ma a un vero gruppo di utenti troll, tutti coalizzati per trasmettere un determinato messaggio o un’idea, non supportati dalla forza delle argomentazioni ma solamente dalla violenza dei commenti online. In questo caso, oltre a quanto già detto, è necessario abbandonare la conversazione, così da togliere spazio, importanza e scopo ai troll che, non avendo più soggetti da stuzzicare, perdono anche la possibilità di portare a termine il loro stesso intento.
Più attenzione ricevono e più i troll continueranno a influenzare e a dirigere le conversazioni online, diffondendo disinformazione e violenza sui social, modificando la comprensione dei post e monopolizzando le chat. In questi casi quindi più l’educazione digitale è forte e meno riflettori saranno diretti a illuminare ignoranza e conflitti, sia verbali che fisici.
A cura di
Alessandro Pogliani
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