Il termine
Il profilo: oggi giorno tutti ne hanno uno, che sia quello Facebook, LinkedIn, Instagram o sui siti per l’e-commerce, la registrazione dei propri dati è diventata una prassi comune all’interno del mondo digitale. Internet potrebbe essere visto come un grande database che raccoglie qualsiasi tipo di informazione sulle nostre vite, private e non. Tuttavia il processo potrebbe essere più complicato di quanto si creda.
Il significato della parola profilazione, ci viene fornito dall’art. 4 del GDPR (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali) del 2018, che la descrive come:
qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell’utilizzo di tali dati per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica, in particolare per analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti di detta persona fisica.
Il processo, dunque, non è finalizzato alla semplice raccolta delle informazioni riguardanti l’individuo, ma alla suddivisione di tali individui in categorie. Ad esempio, genera profilazione un sito internet che si occupi di localizzare i migliori ristoranti della zona e, attraverso le preferenze dell’utente, crei un profilo dello stesso basato sul suo stile di vita e sulle sue abitudini.
Per parlare di profilazione occorrono tre caratteristiche:
- essere una qualsiasi forma automatizzata di rielaborazione dei dati;
- trattare dati personali;
- avere come obiettivo quello di elaborare gusti e abitudini del singolo individuo.
Gli aspetti legali
Il Regolamento Europeo sancisce un generale divieto di di sottoporre una persona a processi automatizzati, sebbene l’art. 22 del GDPR specifichi che l’applicazione di tale normativa è limitata agli effetti giuridici o all’impatto constatabile sulla persona. Inoltre, l’interessato ha il pieno diritto di pretendere che le decisioni prese sul suo conto non si basino su un processo completamente automatizzato, ma su interventi dove il fattore umano faccia la differenza. Il trattamento dovrà sempre e comunque ottenere il consenso da parte dell’utente. È proprio qui che un altro termine diventa fondamentale da conoscere: cookies.
Questi ultimi non sono altro che file di profilazione che i siti internet inviano ai loro terminali per tracciare i comportamenti e le scelte dell’individuo. Essi possono essere installati sul terminale soltanto dopo l’esplicito consenso dell’utente.
Un esempio concreto potrebbe essere dato dalle pubblicità che si trovano spesso su Facebook, legate alla vostra ultima ricerca o acquisto sul web. Ogni sito deve informare l’utente circa l’utilizzo di cookies di profilazione e deve inoltre fornirgli il link a un’informativa completa ed esaustiva.
Gli aspetti etici
La profilazione dell’utente non sempre è da considerarsi nei suoi aspetti positivi. Nonostante i grandi passi avanti in materia legislativa (un esempio è lo stesso consenso che può essere negato per la profilazione), questa attività può risultare dannosa sotto molti punti di vista.
Primo fra tutti: fornire pubblicità ad hoc così da creare un mondo personale fatto dei propri “like” comporta infatti la costruzione di classificazioni sociali sulla base economica, la cosiddetta price discimination, che divide gli utenti in caste. Alcune categorie di persone, infatti, potrebbero non essere mai raggiunte da certe offerte e questo determina perciò delle discriminazioni ingiustificate. L’idea di gruppo porta inevitabilmente alla distinzione tra “noi” e “loro” su basi prettamente economiche.
Il secondo problema consiste nella generazione di una notevole e costante quantità di pubblicità che si aggiorna al ritmo delle nostre decisioni, gusti e mode. Tutto ciò determina un bombardamento continuo di informazioni consumistiche. Il nuovo smartphone, la nuova meta irraggiungibile diventano per noi immagini quotidiane nelle quali rifugiarci per aspirare a un miglior stile di vita e per essere felici.
Comprare equivale sempre di più a essere. Essere equivale sempre di più a ideali di bellezza estetica ed economica.
Le pubblicità ci impongono degli standard che molte volte non riusciamo a raggiungere, spesso perché semplicemente non corrispondono alla realtà dei fatti. L’odierna visione liquida e consumistica delle cose potrà immetterci in questa direzione, ma ricordiamoci che il consenso è sempre una nostra scelta. Così come lo è la sua negazione.
A cura di
Alice Corio
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