A partire dal 2016 si è sentito parlare molto di post-verità. L’Oxford English Dictionary ha persino eletto il suo corrispettivo inglese, post-truth, come parola dell’anno, a seguito del forte incremento nel suo utilizzo. Questo incremento è dovuto ad alcuni avvenimenti politici molto controversi che si sono verificati proprio tre anni fa. Dal referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, vinte da Donald Trump.
Cosa significa post-verità?
Secondo quanto riportato dall’Accademia della Crusca, post-verità è un lessema “relativo a, o che denota, circostanze nelle quali fatti obiettivi sono meno influenti nell’orientare la pubblica opinione che gli appelli all’emotività e le convinzioni personali”. La rete ha senza alcun dubbio contribuito in maniera determinante a dar forma alla definizione del termine. Questo viene utilizzato per connotare una dimensione “oltre la verità”, indicando il superamento della stessa fino a causare una perdita della sua importanza.
Politica e post-verità
Tuttavia, nonostante l’indiscutibile ruolo di Internet nella diffusione della parola, si dibatte molto sul fatto che si tratti di un termine realmente nuovo. Nelle campagne politiche, infatti, è sempre stato di uso comune screditare l’avversario attraverso il ricorso a notizie false. Si può infatti definire la propaganda politica proprio come una sorta di post-verità.
Dal passato al presente, numerosi sono stati gli esempi, anche al di là della politica, in cui l’emotività e le convinzioni personali hanno preso il sopravvento sui dati oggettivi. Le caratteristiche e le dimensioni assunte dal fenomeno al giorno d’oggi appaiono però diverse rispetto ai secoli scorsi, proprio perché collegate a concetti derivanti dalla diffusione delle nuove tecnologie digitali: la globalità, la capillarità, la velocità virale e la generalità degli individui che possono crearla. Anche la ricezione della post-verità soffre delle peculiarità del periodo storico odierno. Se in passato non era infatti possibile verificare la provenienza e la veridicità di un’informazione, oggi ciò è molto semplice (e auspicabile!), e può avvenire attraverso lo stesso canale che veicola l’informazione: la rete.
Il contesto
Ma in quale tipo di contesto si sviluppa la post-verità? Sicuramente può trovare terreno fertile in un ambiente in cui l’ideologia ha la meglio sulla realtà e dove la verità importa poco o niente. Dove non interessa ingannare o portare le prove per confutare una tesi, ma solamente avere la forza di imporre la propria versione, indipendentemente dai fatti. Vengono riportati continuamente concetti semplici e accattivanti, anche se infondati, poiché si preferisce credere a ciò che si accorda con la propria mentalità, con i propri valori e pregiudizi, senza preoccuparsi della loro validità.
La colpa dei social
I social network sembrano dunque essere il luogo privilegiato per la diffusione di questo tipo di notizie, soprattutto perché sono in grado di propagare informazioni false a un gran numero di persone e in pochissimo tempo. Uno degli effetti più rilevanti della crescita e dello sviluppo dei social, infatti, è stata la loro capacità di diventare veri e propri aggregatori di notizie la cui fonte è spesso incerta. Il confine tra informazione e opinione diventa sempre più labile, contribuendo così alla creazione di un mondo governato dal dogma della post-verità.
Post-verità e scienza
Uno dei campi in cui il concetto di post-verità è più presente e pervasivo è sicuramente la politica, ma questa nozione si può sviluppare anche in altri settori, come la scienza e la medicina, ambiti dove fake news e post-verità si sprecano. Dal rifiuto dell’evoluzione al legame tra vaccini e autismo, passando per la negazione del riscaldamento globale e del ruolo dell’attività umana in questo. Per insinuare il dubbio nei cittadini e nei fruitori di notizie basta sostenere la tesi che esistano due possibili interpretazioni di un fatto, che la comunità scientifica sia divisa, per far credere per esempio che l’aumento della temperatura registrato sul nostro pianeta negli ultimi 150 anni sia normale e non preoccupante, quando invece è chiaro che stiamo andando incontro a una catastrofe per nostra responsabilità.
È evidente che un utilizzo errato di Internet e un’eccessiva passività riguardo le fonti delle informazioni che ci vengono presentate siano dannosi per il progredire di una società basata su una corretta informazione. Questo può portare l’uomo ad accettare in maniera disinteressata tutto ciò che i media, e in particolare Internet, vuole fargli credere. Forse la realtà distopica ipotizzata da George Orwell in 1984 non è poi così lontana.
A cura di
Martina Torrini
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