Il business delle fake news
Il tema delle fake news è sotto le luci della ribalta ormai da alcuni anni. Sono sempre più numerosi gli episodi in cui notizie create a tavolino da canali d’informazione a dir poco inaffidabili finiscono sulle prime pagine delle maggiori testate. Addirittura, a volte, in Parlamento. Oltre alla volontà di plagiare l’opinione pubblica, tuttavia, gli autori di questi contenuti molto spesso hanno ambizioni più basse. Normalmente, far soldi facili. E non si parla di spiccioli, esiste un vero e proprio business delle fake news.
L’engagement delle fake news
Per capire meglio il guadagno generato dalle fake news è bene partire dal quantificare come queste si diffondano rapidamente. Un recente studio della New York University, insieme alla Université Grenoble Alpes, ha analizzato i dati di engagement di 2500 pagine Facebook. Il periodo preso in considerazione è quello tra agosto 2020 e gennaio 2021. I ricercatori hanno così rilevato che i contenuti provenienti da fonti inclini a diffondere disinformazione hanno ottenuto circa sei volte il numero di like, condivisioni o commenti generati da fonti affidabili.
Facebook ha reagito allo studio tramite un portavoce che ha voluto chiarire la differenza tra engagement e visualizzazioni. Secondo il portavoce, infatti, è utile ricordare che non è automatica l’equivalenza tra interazioni generate e visualizzazioni. I dati relativi alle visualizzazioni sarebbero infatti in netto contrasto con quanto traspare dallo studio.
La stessa Facebook, tuttavia, ha negato ai ricercatori l’accesso ai dati relativi le visualizzazioni, inaccessibili senza l’autorizzazione dell’azienda. In ogni, caso, i dati relativi l’engagement generato da tali contenuti mostrano chiaramente una situazione in cui i lettori di fake news sono propensi a diffondere tali contenuti, più dei lettori di fonti affidabili.
I guadagni delle fake news
Recentemente il sito di NewsGuard, un’organizzazione che si occupa di monitorare la validità dei contenuti prodotti da siti di informazione, ha pubblicato un report con cui calcola l’impatto economico delle fake news. Dei 6730 domini monitorati in Occidente, ben 519 sono soliti diffondere notizie inventate o manipolate, circa il 7%. Gli obiettivi principali di questo periodo sono ovviamente i vaccini e, più in generale, il Covid-19. Tra i siti segnalati, 41 sono basati in Italia.
Incrociando questi dati con quelli provenienti da Comscore, piattaforma che si occupa di monitorare il traffico indotto e le spese pubblicitarie di 7500 siti, si è giunti a calcolare quanto del denaro speso in pubblicità finisca a finanziare siti di fake news. Circa l’1.86% della spesa pubblicitaria finisce nelle casse di questi siti. La bassa percentuale non deve però trarre in inganno: la spesa pubblicitaria mondiale automatizzata, infatti, ammonta a 155 miliardi di dollari americani. Ciò significa che i creatori di fake news guadagnano dalla pubblicità una cifra pari a 2,6 miliardi di dollari.
Si tratta di stime e non numeri certi dato che le piattaforme che gestiscono il mercato pubblicitario online non diffondono dati relativi ai singoli domini. In ogni caso, la cifra è spaventosa, pensando ai danni che tali siti possono infliggere alla società.
Il caso americano
Gli Stati Uniti sono il mercato più importante per la pubblicità online: si parla di una spesa, nel 2021, di quasi 97 miliardi di dollari. L’analisi giunge a stimare una spesa di circa 1,6 miliardi di dollari in inserzioni su siti di disinformazione. Considerando che la spesa totale su siti di informazioni ammontava, nel 2020, a 3,5 miliardi di dollari, arriviamo a vedere come, per ogni 2,16 dollari spesi in pubblicità su siti di informazioni affidabili, un dollaro vada a vantaggio di siti produttori di fake news.
Precedenti studi di NewsGuard avevano calcolato che circa 4000 top brand avevano pubblicato inserzioni su siti di disinformazione sul Covid-19 e quasi 1700 su domini che avevano pubblicato contenuti disinformativi durante la campagna elettorale delle presidenziali americane di un anno fa.
Limitare i profitti dei siti di disinformazione
NewsGuard termina il report evidenziando delle possibili soluzioni a questo problema. Il problema principale consiste nel metodo di controllo attuato dalle agenzie pubblicitarie prima di approvare o meno un sito su cui pubblicare l’inserzione. La maggior parte delle società si affida infatti a meccanismi di controllo basati su intelligenza artificiale: questi sono ben addestrati a riconoscere contenuti pornografici o violenti, ma non sono in grado di distinguere, ad oggi, la validità di una notizia.
Lo scopo delle aziende dovrebbe dunque esser quello di far mancare i guadagni, a oggi facili, che i produttori di fake news ottengono spesso aiutati da algoritmi dei social che promuovono i contenuti ad alto engagement. Questi siti, oltretutto, hanno margini di guadagno molto più ampi, a parità di diffusione, dei media più seri: bastano pochi addetti alla creazione di contenuti, che possono essere anche di scarsa qualità.
L’idea migliore sarebbe, secondo NewsGuard, quella di affidare il controllo di tali siti a persone esperte, e non a un’intelligenza artificiale, per garantire una miglior affidabilità nella selezione. La creazione di white-list eventualmente organizzate per target di pubblico garantirebbe poi migliori prestazioni pubblicitarie, rendendosi più redditizie per i committenti.
A cura di
Federico Villa
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