Nel 2016 l’Oxford Dictionary, come da ricorrenza, eleggeva la parola dell’anno. Su quale vocabolo è ricaduta la scelta? Post-truth. Nello stesso anno del referendum sulla Brexit nel Regno Unito e delle elezioni presidenziali che hanno visto Donald Trump aggiudicarsi la Casa Bianca negli Stati Uniti d’America, il concetto di post-verità diventava preponderante.
Che cos’è la post-verità?
Cosa si intende per post-truth? E’ sempre l’Oxford Dictionary a spiegarcelo:
“Circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti, nella formazione della pubblica opinione, del richiamo alle emozioni e alle convinzioni personali”
Nell’epoca delle fake news, delle notizie false, quindi, i fatti oggettivi passano in secondo piano: si fa appello alle emozioni. Non a caso quando si parla di post-verità il prefisso post non viene usato in senso temporale, ma indica piuttosto uno slittamento di epoca in cui la verità diventa irrilevante. Le notizie non circolano più in base alla loro veridicità, quanto piuttosto secondo la loro capacità di fare scalpore.
Post-verità e media
Non stupisce che i termini post-truth e fake news si siano diffusi in concomitanza con l’affermarsi dei cosiddetti nuovi media (i social media, come Facebook e Twitter) sui vecchi media (come la radio e la televisione). E’ lo stesso algoritmo su cui si basano social come Facebook, infatti, a favorire il propagarsi delle fake news: più una notizia fa scandalo, più like riceverà. Più like riceverà, maggiore sarà la sua diffusione. Tale meccanismo finisce per confermare i pregiudizi che ognuno di noi già possiede, presentandoci post dai contenuti sempre simili, piuttosto che fornirci opinioni differenti riguardo uno stesso argomento.
Il giornalismo tradizionale che tenta di combattere la disinformazione, si deve però scontrare con un ulteriore ostacolo. Se da un lato i social media possono definirsi una delle più forti espressioni di democrazia, d’altra parte la possibilità di cui chiunque dispone di esprimere la propria opinione su qualunque argomento ha provocato un nuovo problema: la perdita di autorità delle fonti esperte.
Il problema delle fonti
Mai vi è stata un’epoca in cui un quantitativo così esteso di informazioni ci fosse accessibile con tanta facilità. Oggi basta accendere il computer e digitare una qualsiasi parola su un browser di ricerca per ottenere migliaia di risultati. All’interno di questo flusso continuo di informazione, si capisce, distinguere le fonti affidabili è difficile. Distinguere la verità è difficile. Diventa estremamente semplice, invece, appellarsi all’emotività. Ed è qui che entrano in gioco le fake news.
Fake news e post-verità: numeri e situazione attuale
Secondo un’inchiesta svolta nel 2017 dall’osservatorio nazionale Demos-Coop, al 56% degli italiani è capitato di ritenere vera una notizia su Internet che in un momento successivo si è rivelata falsa, mentre il 23% avrebbe condiviso inconsapevolmente fake news. Tentare di ridurre queste cifre è uno degli scopi dell’educazione civica digitale.
E’ lecito chiedersi allora cosa significhi educazione civica digitale, e quali obiettivi questa si prefigga. L’educazione civica digitale è un’integrazione dell’educazione civica con il fine di consolidare il ruolo della scuola quale formatrice di cittadini che partecipino alla vita democratica del Paese. Poiché oggi molti aspetti della vita di ognuno di noi vengono vissuti in rete, inclusa la politica (la maggior parte delle campagne elettorali si disputano su Twitter e Facebook), l’educazione civica digitale ha un ruolo fondamentale nella formazione dei cittadini. Se votiamo sulla base dei post che leggiamo e delle foto che vediamo sui social, saper distinguere fake news da fonti affidabili assume una primaria importanza.
Basta però guardare all’attualità per rendersi conto della potenza e della diffusione delle fake news. Un triste esempio è costituito dal caso dell’omicidio del vicebrigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega, avvenuto la notte del 25 luglio a Roma. Si conoscono i nomi dei colpevoli: si tratta di due cittadini americani, entrambi di vent’anni, alla ricerca di droga. Eppure, non appena i media hanno comunicato la notizia della morte del militare, sono circolate voci differenti riguardo i responsabili. Alcuni membri delle forze dell’ordine e alcuni politici hanno diffuso un’informazione falsa, che vedeva responsabili due nordafricani, con tanto di immagini segnaletiche. Un’ondata di minacce è piovuta subito dalle tastiere. Nonostante la fake news sia stata poco dopo smentita dalla confessione di uno dei colpevoli, questo episodio mostra chiaramente la violenza che l’appello all’emotività in rete può suscitare.
Fake news e politica
Ovviamente non finisce qui: intere carriere politiche si possono costruire sfruttando l’onda della post-verità, confermando i pregiudizi dei cittadini e puntando alla loro “pancia”. Per rendersene conto è sufficiente pensare alla nube di false notizie che ogni giorno avvolge il tema dei flussi migratori nel Mediterraneo, così come ai cosiddetti “fatti alternativi” su cui il Presidente americano Donald Trump ha puntato la sua campagna elettorale, sfidando la conoscenza esperta. E’ un esempio l’affermazione pronunciata da Trump del 2016, a Fort Lauderdale, Florida, quando ha accusato l’ex presidente in carica, Barack Obama, di essere il fondatore dello Stato Islamico.
Come combattere la disinformazione in rete?
Per fortuna il futuro non è tutto nero. Grazie alla sensibilizzazione portata avanti tramite l’educazione civica digitale, diversi strumenti sono stati messi a punto per combattere la disinformazione in rete. Un esempio è NewsGuard, un tool nato nel 2018 negli Stati Uniti e approdato in Italia nel maggio di quest’anno. Sulla pagina ufficiale possiamo leggere:
NewsGuard usa il giornalismo per contrastare il diffondersi di notizie false, cattiva informazione e disinformazione. I nostri analisti, che sono giornalisti esperti, svolgono ricerche sulle testate giornalistiche online per aiutare i lettori a distinguere quelle che fanno realmente giornalismo, da quelle che non lo fanno.
Si tratta dunque di un vero e proprio esempio positivo di educazione civica digitale, in cui una squadra di analisti lavora alla ricerca di falsi siti e false notizie che generino picchi improvvisi di traffico in rete, per poi avvisare gli utenti. E’ grazie a iniziative come questa, che combattono la post-verità in nome del giornalismo, che la veridicità delle informazioni può tornare a prevalere sull’emotività egli utenti.
A cura di
Ilaria Aceto
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