Economia di piattaforma: come è nata
Al giorno d’oggi, le aziende operano sempre più in una dimensione globale e hanno a che fare con un mondo interconnesso e complicato, geograficamente molto più ampio che in passato. I modelli di business, dunque, devono necessariamente mutare ed essere flessibili. In questo contesto si inserisce l’economia di piattaforma.
L’economia di piattaforma più da vicino
Le aziende si servono delle piattaforme digitali attraverso le quali possono incontrare virtualmente i consumatori e interagire con loro.
Le economie di piattaforma servono alle aziende per comprendere in che modo soddisfare i bisogni del cliente, capire i suoi interessi e le sue aspettative. Di conseguenza, servono per creare nuovi prodotti e servizi che tengano conto delle loro abitudini. Questo modello di business è quello utilizzato dalle imprese digitali quali, tra le altre, Amazon, Apple, Google e Airbnb. Le piattaforme includono mercati digitali, social media, app store, siti web di confronto dei prezzi dei singoli prodotti e motori di ricerca. Queste aziende collegano gli acquirenti e i venditori su scala globale, ed è proprio così che funzionano i modelli di business delle economie di piattaforma.
Come funzionano l’economia di piattaforma
I modelli di business delle economie di piattaforma si basano sull’incontro tra domanda e offerta che avviene senza intermediari. Attraverso le piattaforme, gli attori possono interagire con i clienti, i quali assumono le sembianze di persone “in carne e ossa”; non solo entità. La piattaforma, ovviamente, ha un profitto dall’incontro tra attori e clienti, poiché percepisce una commissione grazie all’avvenuto incontro positivo tra i medesimi.
Secondo Valori – testata giornalistica di proprietà della Fondazione Finanza Etica – le economie di piattaforma hanno così tanto successo perché comportano dei vantaggi per tutti gli attori:
“[…] il cliente ha trovato il prodotto o il servizio a un prezzo competitivo, il venditore ha aperto un nuovo canale di vendita privo di rischi dove tecnologie, infrastrutture e costi di marketing sono interamente assunti dalla piattaforma e la piattaforma aumenta il potenziale di fidelizzazione del cliente essendo in grado di offrire più prodotti, più prezzi competitivi, in ottica di economia di scala”. (“Dalle piattaforme digitali alle reti. L’economia del futuro è già qui”, Andrea Vecci, 11 dicembre 2018).
Lo sviluppo dell’economia di piattaforma
È noto che gli ultimi vent’anni siano stati caratterizzati da un significativo sviluppo del mondo online. Sono nate nuove tecnologie e nuove tipologie di imprese, si sono sviluppati nuovi modi di lavorare e di fare shopping, di prenotare una vacanza o di ordinare cibo online.
Le economie di piattaforma hanno radici lontane, che risalgono agli anni ’90, quando il cliente nel suo insieme diventava il centro dell’interesse delle imprese e con esso i suoi bisogni e le sue aspettative. Da questo modello, che potrebbe essere definito come “professionale”, si è lentamente passati a un modello “economico a piattaforma”.
Non esiste un’unica definizione del concetto di sharing economy: nel 2017, il World Economic Forum (fondazione senza fini di lucro) lo ha definito come l’insieme di “interazioni organizzate tramite cui le persone scambiano le proprie risorse in eccesso o inutilizzate, solitamente a fronte di un corrispettivo in denaro o della ricezione di un servizio” o, anche, come la rappresentazione “della tendenza a far prevalere l’accesso alle risorse sul possesso delle stesse“.
L’origine della sharing economy
Secondo la rivista Impresa Sociale, la tendenza a far prevalere l’accesso alle risorse al possesso delle stesse (tendenza che avrebbe dato avvio, come detto sopra, al fenomeno della sharing economy):
” […] si è verificata nei periodi di minor benessere economico, in cui le persone sono più propense a condividere poiché hanno minore capacità di accedere individualmente a un ampio numero di beni: con il boom economico della seconda metà del Novecento, le pratiche di consumo collaborativo sono state progressivamente rimpiazzate dagli acquisti individuali o familiari“.
Inoltre, sempre secondo il World Economic Forum, l’origine della sharing economy deve essere fatta risalire alla diffusione di Internet negli ultimi due decenni. Tale diffusione avrebbe ricreato un sentimento di attenzione per la comunità, in generale, e per le problematiche ambientali. Queste ultime, infatti, avrebbero indotto le persone a ridurre i propri consumi e la propria impronta sul pianeta. Inoltre, la diffusione di Internet avrebbe catalizzato l’attenzione sulla recessione economica, la quale ha nuovamente spostato l’ago della bilancia in favore dell’accesso rispetto al possesso.
Secondo quanto affermato da ECOL, nel suo Comparative Study on Sharing Economy in EU and ECORL Consortium Countries del 2016:
“[…] la nascita delle principali piattaforme collegate alla sharing economy risale proprio al 2008, ovvero all’inizio della crisi economica, e senz’altro la riduzione del potere d’acquisto, combinata con la perdita di numerosi posti di lavoro, ha fatto sì che si cercassero soluzioni nuove alle necessità di consumo.”
I prossimi passi
Il problema principale che l’utilizzo di queste piattaforme online porta è la quasi totale impossibilità per i piccoli commercianti di emergere in un mondo così pieno di prodotti, attività e contenuti. Sono le stesse piattaforme online a fare leva sulle loro capacità di connettere un grande numero di aziende con un altrettanto elevato numero di consumatori.
L’Unione Europea vorrebbe ora uniformare queste materie a livello europeo, e in seguito anche a livello mondiale. La direttiva sul commercio elettronico è stata infatti adottata nel 2000. Da allora molte cose sono cambiate. È chiaro che l’Unione Europea deve allinearsi con i tempi: per questo, la Commissione ha presentato, il 15 dicembre 2020, la sua proposta per la nuova Legge sui servizi digitali. Con questa legge, verranno protetti in modo più efficace i consumatori e i loro diritti fondamentali online. Le norme in questione renderanno i mercati digitali più equi e più aperti per tutti e determineranno delle linee guida per un futuro panorama digitale, in cui saranno incluse le piattaforme online.
A cura di
Martina Nicelli
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