Internet è diventato parte integrante della vita quotidiana, un luogo dove acquisire conoscenze, condividere informazioni, stringere nuove relazioni e via dicendo; una lista infinita di opportunità. Malgrado la parvenza di anonimato che lo schermo sembra garantire, senza un’opportuna educazione civica digitale, i dati personali degli utenti possono comunque finire nelle mani di estranei, spesso con cattive intenzioni. Nell’ambito del cyberbullismo, poche sono le cose che rendono così vulnerabili quanto il doxing. Il fenomeno si riferisce alla pratica di divulgare pubblicamente dati estremamente sensibili di una persona senza il suo consenso.
Il doxing e i dati personali
Malgrado la crescente consapevolezza nell’ambito dell’educazione civica digitale, la preoccupazione degli utenti per la propria privacy e le nuove normative messe in atto per difenderla, il fenomeno assume dimensioni e sfumature sempre più inquietanti, grazie alla relativa facilità nel ricavare informazioni “private”, spesso messe ingenuamente a disposizione proprio dalle vittime stesse sui social network, o ottenute attraverso veri e propri atti di hacking.
Dopo aver reperito tali informazioni, come l’indirizzo o il numero di telefono, fino a dettagli relativi alla famiglia o a soggetti più “deboli” come i minori, il passo successivo del doxing è mettere questi dati a disposizione degli altri utenti, sfociando in contesti di online shaming e mettendo a rischio l’incolumità delle vittime.
Un caso di doxing
Un caso tristemente noto in tale ambito è la vicenda Gamergate. La vittima in questo caso è stata la game developer Zoë Quinn insieme ad altre colleghe dell’industria dei videogiochi. A seguito della release di un videogioco che aveva sviluppato, dal titolo Depression Quest, la programmatrice ha iniziato a subire vere e proprie molestie online; come minacce di stupro e di morte. Nel momento in cui la donna ha denunciato la cosa pubblicamente, parlandone sui media, questa campagna di odio si è intensificata al punto da sfociare nel doxing: il suo indirizzo di casa è stato infatti pubblicato online, mettendo a rischio l’incolumità sua e della sua famiglia, tanto da costringerla a trasferirsi altrove.
Il doxing è sottovalutato?
Malgrado le recenti prese di posizione di colossi come Facebook, Instagram, YouTube e Twitter nei confronti della sicurezza e della privacy dei propri utenti e le campagne promosse nell’ambito dell’educazione civica digitale, moltissime persone ancora sottovalutano la mole di informazioni messe a disposizione di chiunque sul web. Dal divulgare la propria posizione, alla scelta di password facilmente violabili, la soglia di attenzione dell’utente medio rimane pericolosamente bassa.
Attraverso i motori di ricerca infatti è estremamente facile ottenere nome e cognome, età, indirizzo e persino il numero di telefono delle vittime ignare e risalire alla loro rete di conoscenze e persino ai legami familiari. Una buona pratica per scongiurare, almeno in parte, il rischio di subire il doxing è evitare di diffondere e pubblicare sui social e su internet tali informazioni e, in caso si sospetti di essere vittima di questo fenomeno, informarne sempre le autorità.
A cura di
Maria Bellotto
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