Avete mai provato a cercare il vostro nome su Google solo per vedere quali risultati sarebbero apparsi?
Magari avete riso nel vedere che un vostro omonimo è un cabarettista di successo. Oppure avete scoperto di avere dei lontani parenti che ora vivono in Sud America.
Se invece siete pratici del mondo dei social, probabilmente fra i risultati restituiti da Google ci saranno anche alcuni link che rimandano ai vostri profili Instagram o Facebook. In alcuni casi è un vantaggio avere maggiore visibilità in rete. Per esempio quando si cerca un lavoro e si vuole fare in modo che le aziende notino il proprio curriculum LinkedIn.
E se invece, cercando il vostro nome in rete, doveste scoprire che tutti i link rimandano al vostro passato? Se i risultati fossero link ad articoli giornalistici che parlano di una vostra condanna penale?
Se è vero che chi ha commesso errori in passato dovrebbe essere anche in grado di imparare da questi, allora lo è anche che venga liberato dallo stigma sociale che porta.
Il diritto all’oblio
Si parla in questo senso di diritto all’oblio. Si tratta del diritto di richiedere la deindicizzazione delle pagine ritenute lesive per la reputazione e per la privacy.
Deindicizzare una pagina significa che questa non sarà più presente nei risultati dei motori di ricerca quando gli utenti cercheranno parole chiave correlate ad essa. Il contenuto, però, non verrà cancellato. Rimarrà in rete a meno che il gestore non decida di cancellarlo definitivamente dal proprio sito Internet.
Il discorso non vale solo in casi di precedenti penali ma anche di cambiamenti di stile di vita. Pensiamo a una persona facente parte di ambiti delicati quali quello della pornografia o della prostituzione. Se questa persona dovesse decidere di cambiare stile di vita e se, per maggiore benessere personale, ritenesse opportuno cancellare il proprio passato, almeno dalla rete, dovrebbe avere la possibilità di farlo.
Applicazione del diritto all’oblio
In Europa il diritto all’oblio è stato introdotto nel 2018, nonostante esistessero già diverse sentenze precedenti con riferimento alla deindicizzazione di web-pages poiché ritenute lesive della privacy e dell’immagine di alcuni cittadini.
Il diritto all’oblio tuttavia non è sempre applicabile. Se utilizzato in maniera massiccia, porterebbe a severi problemi di disinformazione e, nei casi più gravi, di censura giornalistica.
In effetti, per legge devono sussistere alcune condizioni fondamentali perché il diritto all’oblio possa essere concesso. Queste condizioni riguardano sia il ruolo svolto nella società dal soggetto interessato e il peso del relativo reato sia il tempo trascorso dal reato stesso alla richiesta di deindicizzazione. Se, per esempio, si dovesse trattare di un reato piuttosto grave compiuto da un noto uomo politico ai danni dello Stato, il diritto di cronaca impedirebbe sarebbe più forte del diritto all’oblio. Per ovvi motivi inoltre, sarebbe scorretto concedere il diritto all’oblio a un individuo senza che questo si sottoponga a un percorso di cambiamento, come può essere scontare una pena.
Un esempio contemporaneo
Anche un noto personaggio della scena musicale italiana ha richiesto il diritto all’oblio: Antonello Venditti. In questo caso, non sono coinvolti reati passati già scontati ma solamente la volontà da parte dell’artista di non dare nuova visibilità a fatti accaduti molti anni or sono.
La richiesta dell’artista non si applica al web, bensì al mondo televisivo. Il processo in oggetto avvenne infatti a seguito della messa in onda da parte della Rai di alcuni frammenti di video che ritraevano l’artista in clip lesive sua della privacy. Clip che, inoltre, andavano a screditarne l’immagine, in quanto contenenti commenti negativi sulla sua persona e sulle sue risposte brusche.
Dopo un lungo iter burocratico, la Cassazione ha riconosciuto Venditti come soggetto danneggiato poiché le clip incriminate erano state utilizzate dall’emittente televisiva senza un reale scopo informativo ma solo per interesse commerciale.
La legge in merito
Si tratta di una legge che va bilanciata attentamente. Un abuso porterebbe a un’ingiusta repressione dei canali di informazione mentre un uso troppo parsimonioso potrebbe rendere impossibile la vita di chi, dopo molti anni, e dopo aver espiato le proprie colpe voglia voltare pagina.
A cura di
Alessia Marinoni
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