Digital Divide: quando l’accesso a Internet è un privilegio

In un’era che ci ha abituato ormai da tempo, grazie a Internet, ad andare veloce e ad accorciare tempi e distanze, dobbiamo ancora fare i conti con una piaga fortemente presente e radicata: il Digital Divide.

Digital Divide, tradotto in italiano con “divario digitale” è un termine coniato intorno alla prima metà degli anni Novanta. L’Enciclopedia Treccani definisce questa espressione come:

Nata in seno all’amministrazione statunitense della presidenza Clinton (1993-2001) per indicare la disparità nelle possibilità di accesso ai servizi telematici tra la popolazione americana.

Per servizi telematici intendiamo una vasta gamma di servizi che comprendono, tra le altre cose, reti di infrastrutture come linee telefoniche, accesso ad abbonamenti TV e Internet, ma anche tutta una serie di misure che ogni sistema di Welfare di uno stato civile dovrebbe mettere in piedi. Un esempio sono le misure volte all’alfabetizzazione e alla scolarizzazione della popolazione per un uso più responsabile e consapevole di questi servizi telematici.

Nato per indicare un problema tutto americano, oggi il termine viene ormai utilizzato su scala globale per indicare la difficoltà di accesso ai mezzi di informazione e comunicazione da parte delle fasce di popolazione che vivono in aree disagiate, sia dal punto di vista economico che strutturale.

Internet sì, ma non per tutti: ecco alcuni dati

A lanciare l’allarme, nel 2019, è stata la Web Foundation, l’associazione fondata da Sir Tim Berners-Lee volta alla creazione di un web migliore, di facile accesso e più inclusivo. In uno studio del 2019 la Web Foundation, insieme all’Alliance for Affordable Internet ha stilato un report, con cadenza annuale, che ha come obiettivo l’analisi del Digital Divide. I dati fanno riflettere. Guardando agli ultimi dieci anni, il tasso di crescita dei nuovi accessi, invece che aumentare, è diminuito. Si è passati dal 19% nel 2007 al 6% nel 2017.

Oltre a far riflettere, questi dati hanno messo in allarme la Web Foundation, che da anni si muove per facilitare l’accesso, anche nelle aree in cui la popolazione ha davvero poche possibilità dal punto di vista economico, al mondo dell’Ict. Ict è una sigla che sta per Information and Comunication Technology, e viene utilizzata per indicare il settore dell’informatica e delle telecomunicazioni. In particolare, il report si pone come obiettivo la ricerca delle cause che hanno portato a questo divario, e l’analisi di tutte le politiche messe in atto da ogni singolo stato per garantire alla popolazione l’accesso a queste preziose risorse. Il fine ultimo, quindi, è quello di capire quali siano le politiche più adatte per lo sviluppo di un servizio meno costoso, più accessibile e universale.

Le aree più colpite

Per capire quanto questo sia un problema serio basta dare un’occhiata ai numeri. Una delle barriere più importanti è il costo. In Africa, per esempio, per avere accesso a Internet il costo medio di 1GB è circa il 7,12% del salario mensile medio e solo il 28% della popolazione è online. Tra i paesi con livelli di accessibilità più bassi Etiopia, Congo e Sierra Leone. Dei quarantacinque paesi africani presi in esame, solo in dieci Internet è accessibile. La situazione migliora in Asia, dove a essere online è il 48% della popolazione. Sedici paesi su venticinque hanno un Internet accessibile. Tra i paesi con ranking più basso troviamo Yemen, Kazakistan e Bangladesh. Qui il costo per 1GB di dati è 2,7% del salario mensile. I numeri migliorano, ma di poco, nell’Americhe, dove a essere connessi sono dieci paesi su venti. I paesi con livello di accessibilità più basso sono Haiti, Nicaragua e Guatemala. In questi paesi i costi per avere accesso a 1GB si abbassano all’1,9% del salario mensile.

La soluzione? Tecnologie a basso costo e connessione condivisa

Tra le soluzioni proposte all’interno del report troviamo l’adozione di politiche volte al supporto della competizione tra i mercati, tra le quali eque regole per l’accesso all’interno dei mercati dell’Ict e incentivi per incoraggiare nuovi competitors; l’abbassamento dei costi per nuovi operatori per le tariffe Internet, in modo tale che queste compagnie non si ritrovino a fronteggiare altissimi costi in termine di capitale; l’investimento in reti Wi-Fi di pubblico accesso, supportando i consumatori con maggiore varietà di scelta quando si tratta di Internet e accesso ai servizi digitali.

Mentre da un lato ci si focalizza sull’abbattimento delle barriere per l’ingresso ai mercati Ict, dall’altro sono in molti a cercare soluzioni che facilitano la diffusione di questo tipo di tecnologia anche nelle aree più povere. L’obiettivo è quello di interconnettere zone anche molto distanti tra loro attraverso la tecnologia a radiofrequenza, cercando di contenere i costi.

Digital Divide: pesanti effetti sul sociale

Purtroppo, il Digital Divide ha ancora pesanti effetti su diverse zone geografiche e la mancata possibilità di accesso a una preziosa risorsa come il World Wide Web è una piaga che penalizza diverse aree del nostro pianeta. Ancora oggi, non siamo arrivati a soluzioni davvero efficaci e condivise per supportare queste comunità e migliorare le prospettive di vita delle nuove generazioni. Queste, grazie all’accesso alle tecnologie, avranno la possibilità di usufruire di strumenti per una crescita più consapevole all’interno del mondo digitale e per superare così il problema di un mondo a due velocità.

 

A cura di

Miriam Salamone


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