Cos’è l’effetto Dunning-Kruger

Cos’è l’effetto Dunning-Kruger

 

L’effetto Dunning-Kruger è costantemente citato in Rete e sempre più spesso viene utilizzato in modo piuttosto impreciso.
Si tratta di una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità definendosi, in maniera totalmente errata e superficiale, esperti di quel campo. Nelle discussioni sui social, tuttavia, diventa spesso un sinonimo di stupidità, perdendo così di significato. È bene, quindi, ripercorrere la nascita di questo interessante fenomeno e il suo reale significato, così da evitare di citarlo impropriamente in ogni discussione.

 

L’origine dell’effetto Dunning-Kruger

Nell’aprile del 1995 un curioso caso di cronaca attirò l’attenzione dei cittadini americani: a Pittsburgh due banche vengono rapinate alla luce del sole. Le telecamere a circuito chiuso riprendono tutto e la polizia decide di trasmettere le immagini: gli abitanti della zona, durante il telegiornale delle undici, vedono così un uomo, a volto scoperto, con in mano una pistola.

Bastano pochi minuti perché la trasmissione abbia effetto: nel cuore della notte gli agenti si presentano alla porta di McArthur Wheeler. Stupefatto, risponde alle accuse sostenendo di “avere addosso il succo”. Dopo un’iniziale perplessità, emerge che l’uomo aveva creduto di potersi rendere invisibile alle telecamere sfruttando il succo di limone, replicando il funzionamento del cosiddetto “inchiostro simpatico”. Wheeler aveva in precedenza testato questa tecnica, provando a scattarsi una foto con l’inchiostro sul volto e la sua faccia non era visibile. L’unico difetto di questa tecnica? Il bruciore agli occhi provocato dal limone.

Sfogliando un almanacco del 1996 David Dunning, professore di psicologia alla Cornell University, vede in questo caso qualcosa di generalizzabile e non la follia di un singolo individuo. Dunning affida a un suo studente, Justin Kruger, il compito di approfondire il caso.

 

Gli studi di Dunning e Kruger

I due cominciarono a studiare come percepiamo il nostro livello di conoscenza sottoponendo un test di logica, grammatica e umorismo agli studenti del primo anno di psicologia. A seguire, veniva chiesto loro di autovalutarsi e stimare il risultato del proprio test in confronto a quello degli altri studenti. Il risultato fu inequivocabile: chi aveva ottenuto i punteggi peggiori sovrastimava di molto la sua preparazione, così finendo per sottovalutare i risultati altrui. Al contrario, cosa ancora più interessante, chi otteneva i risultati migliori sottostimava, seppur non di molto, i propri risultati e non credeva di essersi classificato così bene rispetto ai colleghi.

In uno studio successivo, i due proseguirono la ricerca in un ambiente ben diverso: un poligono di tiro. Lì testarono i presenti riguardo le misure di sicurezza seguite maneggiando un’arma. Come ipotizzato, chi sapeva meno era più propenso a sopravvalutare la propria preparazione.

Per quanto riguarda l’effetto rilevato tra coloro che ottenevano risultati migliori, ma si sottostimavano, si può parlare di “Sindrome dell’impostore”, una distorsione che porta i più preparati a non riconoscere le proprie capacità e a credere di essere a un livello pari, se non inferiore, agli altri. Come rilevato da Dunning e Kruger, tuttavia, i più competenti possono migliorare la propria capacità di autovalutazione dopo che è stato fatto notare loro l’errore. Tra i meno preparati, questo miglioramento, è invece più raro.

 

L’effetto Dunning-Kruger e la società

È importante notare, tuttavia, che questo effetto è stato studiato principalmente su cittadini nordamericani, con tutte le implicazioni culturali che ne conseguono. Non è perciò detto che tale distorsione sia valida per ogni uomo in ogni società.

Heine, della University of British Columbia, ha tentato di capire se il fenomeno si verifica anche in Oriente. Il risultato è opposto a quello raggiunto negli USA da Dunning e Kruger: i meno preparati, appartenenti a tali culture, tendono a sottostimare le proprie abilità e sono molto più propensi migliorarsi. In particolare, Heine ha confrontato Cina, Giappone e Corea con Stati Uniti e Canada. Su settanta studi presi in esame, ben 69 riscontrano forti divergenze tra le due culture per quanto riguarda l’autovalutazione e la risposta ai successivi feedback.

In uno studio del 2001, il gruppo di Heine ha rilevato come la risposta al fallimento sia diametralmente opposta: se gli americani lavorano di più dopo aver ottenuto risultati positivi, i giapponesi si impegnano maggiormente di fronte a un fallimento.

Secondo l’ideatore dello studio, questa diversa tendenza degli asiatici sarebbe dovuta al rilievo dato alla reputazione: ottenere risultati migliori rende migliori agli occhi della società. Ciò comporta tuttavia una costante autocritica che porta disagi dovuti alla scarsa autostima.

In conclusione, dice Heine, se un nordamericano fallisce in qualcosa, cerca di fare altro; se un orientale ha scarsi risultati, li vede come uno stimolo per migliorarsi.

 

A cura di

Federico Villa


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