Il clickbait – che tradotto significa letteralmente l’acchiappaclick – è una strategia di marketing pensata per aumentare il numero di visualizzazioni di una pagina web. Questa pratica viene attuata soprattutto nel campo del giornalismo online attraverso i blog, i siti di news, quelli d’intrattenimento o i magazine di gossip; lo scopo è attirare gli utenti a cliccare su un determinato contenuto, provocando un incremento del traffico legato al sito web. Il tutto è finalizzato all’accrescimento delle visite, della pubblicità online, nonché al guadagno da parte dei banner.
Generalmente, la tattica che viene adottata consiste nel proporre un titolo a effetto che esageri la notizia per renderla interessante; spesso preannunciando novità shock o inaspettate per lasciare il lettore in sospeso, facendo in modo che approfondisca quel piccolo indizio aprendo l’articolo. Attraverso l’uso di una headline accattivante, i siti web sfruttano quello che gli inglesi chiamano curiosity gap ovvero un vuoto di curiosità che gli utenti possono colmare soltanto cliccando sul link allegato. Questo perché di fatto l’informazione presentata è semplicemente un’anteprima e un assaggio del reale contenuto della notizia.
Come identificare il clickbait
Il clickbait gioca principalmente sul fattore emotivo. Si sa che i contenuti che suscitano delle sensazioni nel lettore sono quelli che hanno più successo, a discapito di quelli neutri. Le emozioni fungono da eco per l’attenzione, sollecitando la parte più primordiale dell’essere umano; la tristezza, la rabbia, l’umorismo e la sorpresa sono stati d’animo che alimentano ad hoc questa strategia, rendendola funzionale.
Ecco un paio di esempi tipici di “titoli trappola”:
- Non immaginerai mai cosa ha fatto quest’uomo!;
- Ecco il video che ha commosso il web!;
- Incredibile! Ecco cosa è stato scoperto!;
- Questo è il migliore/il più grande/assurdo…;
- SHOCK! Quello che questa donna ha visto, l’ha fatta gridare!;
- Questa donna è riuscita a perdere 15 kg in 5 giorni, non ci crederai;
- Come guadagnare milioni di euro in pochi secondi;
- Dimagrire in poltrona si può, lo dice la scienza.
Inoltre, non è difficile capire se si tratta di un link esca o meno, perché di solito questi portali attuano sempre lo stesso modello con le medesime frasi “a effetto”, scelte appositamente per generare una reazione nel lettore. Sono molto gettonati i temi controversi e le notizie forti che vengono espresse utilizzando un linguaggio specifico composto da aggettivi, superlativi, suspence e slang comuni in rete (WOW, LOL, OMG). Ciò è dimostrato anche da uno studio olandese in cui emerge che i contenuti cosiddetti “sensazionalistici” sono stati cliccati/guardati per un tempio doppio rispetto a quelli “normali”, a prescindere dalle caratteristiche individuali del soggetto: età, sesso o altri fattori sociali e ambientali influenti.
Un altro elemento che incide sull’esito positivo di clickbait è quella che viene definita come “pigrizia cerebrale”, la quale impedirebbe al lettore di scrollare la propria pagina social senza interagire coi link in cui si imbatte. Spesso si tratta semplicemente di aprirli rapidamente, senza prestarci troppa attenzione né interesse, o addirittura limitarsi alla condivisione, tralasciando completamente la lettura dell’articolo stesso. Questo sottolinea come ci sia quest’innata esigenza di essere a conoscenza, anche se superficiale, di ciò che accade all’esterno e allo stesso tempo, evidenzia il bisogno imminente di condividere, per creare una sorta di affiliazione col mondo e adattare i propri comportamenti e le proprie azioni a esso.
Temi e conseguenze di clickbait
I temi che vanno per la maggiore riguardano i bambini, gli animali, le malattie e i fenomeni inerenti la società. A seconda della tematica trattata infatti, le reazioni sono varie. In particolare, nel momento in cui vengono sponsorizzati dei titoli che invitano a leggere articoli creati a tavolino per alimentare l’odio e il disprezzo, facendo leva sullo stato d’animo oramai logorato e rassegnato degli utenti, si innescano una serie di situazioni spiacevoli. Queste si traducono per esempio nel razzismo, o in qualsiasi altra forma di discriminazione che quotidianamente colpisce la società.
Le ripercussioni del clickbait, in questi casi, sia sui social che nella vita reale, sono notevoli; ma se da questo punto di vista le notizie danno origine all’incertezza e alla negatività, dall’altro, se posizionate in maniera strategica, permettono di ottenere un giro d’affari indubbiamente fruttuoso.
Tecniche di clickbait più usate
Liste di pubblicazione
La lista è decisamente più digeribile per l’utente rispetto a un testo ampio. È un buon metodo da sfruttare per anticipare l’argomento trattato, senza doverlo approfondire troppo. Tra gli esempi più comuni ci sono titoli come:
- Dieci cose da vedere a Roma;
- Otto alimenti che ti aiuteranno a perdere peso;
- Le 5 migliori serie di Netflix che non ti puoi perdere;
- I quattro esercizi fisici che devi fare per mantenere la muscolatura.
Titoli sarcastici
Si tratta di titoli esagerati che incuriosiscono il lettore perché parlano di temi che sono di interesse generale, con la differenza che promettono di suscitare un’emozione. Le frasi più classiche comprendono:
- 10 motivi per cui non devi usare un frullatore la notte;
- 12 motivi per non visitare New York in inverno;
- 4 motivi per cui devi mangiare avocado ogni giorno.
Titoli che causano discussione
I titoli sono piuttosto accattivanti, perdendo però di concretezza in fatto di contenuto. La scelta spesso ricade su frasi come: “L’e-mail marketing è morto”; piuttosto che: “I benefici e le tecniche più utilizzate nell’e-mail marketing”. L’obiettivo è quello di creare un titolo che, pur non essendo totalmente reale, offra una spiegazione coerente e sensata riguardo al tema. Infatti, in entrambi i casi si fa riferimento all’e-mail marketing, ma proponendo un titolo quasi provocatorio si avranno più chance di far abboccare dei pesci all’amo.
Ovviamente conviene avere dei dati e delle statistiche a supporto della propria argomentazione, evitando il dibattito negativo, altrimenti si rischia soltanto di infastidire la audience.
Titoli commoventi o di suspance
È un modo per manipolare l’utente perché il titolo non ha nessun nesso con il contenuto del link. Di solito troviamo frasi come: “Quello che vedrai ti farà piangere…”; oppure “Non crederai a cosa è successo quando…”.
Titoli “cattivi”
Un esempio è: “Anche le modelle hanno compagni brutti”; oppure: “Anche i VIP ingrassano a dismisura”. Si basano essenzialmente sulla cattiveria gratuita facendo leva sulla “fragilità” dell’utente che, mettendosi a paragone con la celebrità, potrebbe ricevere una buona dose di autostima, anche se per pochi attimi.
Clickbait: strategia disonesta?
Pur essendo una strategia di marketing, sono in molti, tra media e giornalisti, a considerarla una pratica poco ortodossa e scorretta, nata solo per ottenere views e lucro. È vero, in seguito all’avvento dei social network, specialmente Facebook e Instagram, il clickbait è diventato parecchio diffuso e popolare, ma non per questo immune alle critiche. Esso, infatti, può scatenare degli effetti collaterali non da poco:
Bad Brand Reputation
Come in tutti gli ambiti della vita, anche nel caso del clickbait è meglio non strafare. “Il troppo stroppia” giusto? L’eccesso non è mai la chiave. Se lo si usa con astuzia e moderazione può diventare un modo efficace di monetizzare; ma se invece lo si sfrutta con le intenzioni sbagliate potrebbe ritorcersi contro il brand stesso. Alcuni brand e agenzie di marketing adottano questa strategia in quanto aiuta ad aumentare in maniera rapida il traffico del web, permettendo di ottenere dei risultati talvolta sorprendenti in fatto di pubblicità e presenza sui motori di ricerca, che si concretizzano in notorietà e incremento delle vendite. Se però, al contrario, ci si affida eccessivamente a questa tecnica, si rischia di perdere il controllo dell’andamento del brand che, se non viene monitorato correttamente, è messo a dura prova insieme alla sua reputazione, che ne uscirà sicuramente danneggiata.
Delusione dell’aspettativa dei lettori
Il titolo che attira a primo impatto il lettore spesso non corrisponde alle aspettative, rappresentando una promessa non mantenuta. Il pubblico che si incuriosisce grazie al titolo trova un contenuto che non rispecchia quello che veniva inizialmente pubblicizzato con tanta enfasi. Gli articoli proposti non contengono alcuna informazione aggiuntiva, utile, né tantomeno chiara. È un modo per ottenere click, dove la notizia passa in secondo piano; non a caso l’utente si confronta con fake news, news incomplete o non inerenti, che solo all’apparenza trattano un determinato argomento, ma che poi nel concreto si concentrano su tutt’altro.
Truffa o malware
Nella migliore delle ipotesi, il clickbait potrebbe semplicemente reindirizzare l’utente verso una richiesta di pagamento o una registrazione a una determinata pagina o a un insieme di pagine per aumentare l’interazione di un sito. Altre volte invece l’utente, convinto di accedere a uno specifico contenuto, viene rediretto a un notizia che si discosta completamente dal titolo iniziale e che spesso, oltre a rivelarsi non veritiera e non pertinente, può nascondere un virus, una truffa o un tentativo di phishing. Per questo bisogna prestare estrema attenzione quando si preme su un link che sembra invitante, perché solitamente l’inganno è proprio dietro l’angolo.
Il clickbait è lecito?
Il clickbait non è illegale, ma non porta dei benefici a lungo termine. Se il suo uso è frequente, il giornale, l’azienda o il brand potrebbero diventare poco credibili agli occhi del visitatore, il quale potrebbe oltretutto associarli a una perdita di tempo. Qui viene messa in discussione l’integrità giornalistica contro la ricerca disperata di visualizzazioni.
Prediligendo contenuti di bassa qualità, si rischia di essere penalizzati dai motori di ricerca che, a tal proposito, vengono aggiornati mensilmente per evitare pratiche negative come il clickbait, il contenuto duplicato e le fake news. Questi browser, infatti, dopo aver individuato le pagine che non rispecchiano i criteri previsti dagli algoritmi, le inseriscono tra i risultati di coda delle ricerche, sperando che finiscano pian piano nell’oblio.
A cura di
Rebecca Brighton
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