La Commissione Europea definisce ufficialmente la Media Literacy come «la capacità di accedere ai media, di comprendere e valutare criticamente i diversi aspetti dei media a cominciare dai loro contenuti, di creare comunicazione in una varietà di contesti. La Media Literacy riguarda tutti i media, compresi la televisione e il cinema, la radio e la musica registrata, la carta stampata, Internet e le altre nuove tecnologie digitali impiegate nella comunicazione» (Comunicazione 833/2007).
Nel 2017 la Camera dei Deputati con il Miur lanciano un’iniziativa volta a sensibilizzare i giovani della scuola dell’obbligo nei confronti delle fake news. L’hashtag #bastabufale, di cui l’allora presidente Laura Boldrini fu la prima sostenitrice, è anche il nome del decalogo inviato alle scuole, in cui – in realtà – sono elencate 8 regole: le ultime due dovranno essere infatti inventate dai ragazzi delle classi, in collaborazione con gli insegnanti. L’obiettivo del progetto è proprio quello di sviluppare negli studenti competenze di media literacy, con particolare attenzione alla ricerca e all’individuazione di notizie false.
Il “decalogo” offre delle indicazioni interessanti per il riconoscimento delle fake news, che possono sembrare a volte banali ma che nell’epoca di estrema interconnessione e fluidità in cui viviamo richiedono invece uno sforzo attivo e di partecipazione realmente importante.
L’iniziativa ha avuto una buona risonanza mediatica al momento del suo lancio, con un discreto utilizzo dell’hashtag sui social, ma a meno di un anno dalla nascita del “movimento” – è stato infatti anche creato un sito ad hoc dalla Boldrini, in cui è possibile sottoscrivere un appello “per dire no alle bufale, sì alla corretta informazione” – si assiste ad un brusco rallentamento nell’utilizzo e nella diffusione su tutte le piattaforme.
La ricerca dell’iniziativa è sempre legata alla persona di Laura Boldrini e l’ex presidente della camera è anche la top influencer che utilizza l’hashtag secondo le statistiche di hashtaghify.me. Forse è stato anche il cambio di governo a influenzare la diminuzione di interesse nei confronti di #bastabufale: fatto sta che oggi più che mai riprendere in mano un percorso didattico e di crescita, con i giovani e i meno giovani, legato alle fake news sarebbe di fondamentale importanza.
Insegnare ad un ragazzo cresciuto su Facebook, o più in generale su internet, ad approfondire le notizie che si leggono prima di condividerle, ad essere autonomi nella ricerca delle fonti e a verificare la veridicità delle informazioni che si stanno leggendo vuol dire formare uno spiccato spirito critico che, al contrario, i social media sembrano continuare ad appianare e livellare. Nel momento in cui non è più la verità ciò che interessa, ma l’apparenza di una foto, l’emozione di una notizia, l’estetica di un’immagine, diventa assolutamente superfluo impegnarsi attivamente per confermare o assicurarsi che ciò che si condivide sia reale.
Le fake news infatti hanno la caratteristica di diffondersi in una condizione di post-verità, ovvero una realtà in cui la verità viene messa da parte a favore di argomentazioni che si basano fortemente sull’emotività di coloro che le recepiscono e sulle credenze invece che sui fatti. Un cambiamento di punto di vista epocale, che influenza l’opinione pubblica in modo profondo, soprattutto se questa situazione viene sfruttata per raggiungere secondi fini.
Il punto 7 del decalogo #bastabufale recita: “Hai un potere enorme, usalo bene”. Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie permettono a chiunque viva nel mondo occidentale di avere una voce, di esprimere opinioni che potenzialmente hanno la stessa possibilità di essere ascoltate di quelle di attori, filosofi, sociologi, politici. È necessario che il concetto di responsabilità e di etica nell’utilizzo di questi mezzi sia una priorità. Come si può essere dei cittadini responsabili, se condividendo con superficialità una notizia falsa si rischia di diffamare, umiliare, scatenare il panico, offendere qualcuno? Ogni azione, anche se effettuata nell’impalpabile universo della rete, ha una conseguenza: basti pensare al massacro avvenuto in Nigeria nel 2018. La condivisione su Facebook di foto di bambini uccisi nei loro letti, recanti una didascalia non corrispondente alla realtà, ha acuito i già tesi rapporti tra Benom e Fulani, sfociando in una serie di rappresaglie sanguinose durate per settimane. Possiamo vedere come la scarsa alfabetizzazione digitale, unita ad una fortissima risposta emotiva alle fake news che ha impedito di soppesare la veridicità della notizia, abbia portato ad un risultato tragico.
Citare l’appello della Boldrini sembra più che appropriato: “le bufale creano confusione, seminano paure e odio e inquinano irrimediabilmente il dibattito”, soprattutto nel momento in cui il dialogo costruttivo è già difficile a causa di opposti orientamenti politici, differenze culturali o di fede.
Sul portale generazioniconnesse.it è possibile scaricare il decalogo e il materiale didattico messo a disposizione da Miur e Camera dei Deputati per le attività da svolgere in classe nella scuola dell’obbligo. Un esercizio che dovremmo fare tutti, dal momento che nessuno – per quanto nativo digitale o alfabetizzato – è immune alle fake news.
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