Autocensura nei social e spirale del silenzio

Autocensura nei social e spirale del silenzio

14 Ottobre 2020

Libertà di espressione e di pensiero: una grande conquista che l’uomo ha raggiunto grazie a estenuanti battaglie per l’affermazione dei propri diritti e della propria persona. Nel mondo odierno, nelle nostre vite, ci sentiamo liberi di poter comunicare nei modi che più ci aggradano, con i termini che sentiamo nostri e seguendo le idee e le ideologie a noi più affini. In particolare, il nostro stato, le nostre emozioni  e i fatti più singolari che ci accadono in ogni momento possono essere condivisi con la comunità di cui facciamo parte grazie ai social network, i grandi colossi che dominano la contemporaneità. Eppure questa libertà sembra avere dei confini.

Il 14 Ottobre del 2020, Il New York Post pubblica un articolo controverso e alquanto spinoso: secondo la testata, l’FBI avrebbe sequestrato un disco rigido appartenente a Hunter Binden (figlio dell’attuale presidente degli USA Joe Biden) dove venivano fornite le prove di reati di corruzione commessi dal figlio stesso e dal padre. Il caso risultava alquanto scottante poiché, come ricordiamo, all’epoca Joe Biden era protagonista della corsa alla Casa Bianca contro il rivale politico Donald Trump. L’effetto farfalla generato dalla testata giornalistica statunitense è stato che, nelle ore successive alla pubblicazione, ogni post, tweet o stato condiviso su Facebook e Twitter venissero bloccati e quindi, automaticamente, cancellati. Agendo in questo modo, le due società credevano di mettere a tacere la storia per evitare la sua diffusione e i relativi commenti che avrebbe inevitabilmente scatenato. Tuttavia l’effetto reale ottenuto è stato non solo il fatto che l’articolo sia diventato uno dei più diffusi e letti della settimana, ma la questione del tentato blocco da parte dei due social network ha dato molto da pensare e da discutere. Il post l’ha dichiarato un atto di “moderno totalitarismo”, una violazione del sacro diritto alla libertà di espressione. Questo racconto apre la strada ad una grande questione. I social network sono davvero piattaforme libere e neutrali?

 

Il dilemma dei Social Network

La risposta sembrerebbe essere negativa. Secondo il settimanale d’informazione inglese The Economist, la quantità di messaggi d’odio e di hate speech segnalati e cancellati da Facebook è incrementata di 10 volte in due anni, dal 2018 al 2020. Allo stesso modo, la piattaforma di Google, YouTube, rimuove ogni giorni migliaia di video e commenti considerati inopportuni, Twitter cancella i tweet dal contenuto offensivo e Tik Tok fa sparire i video meno popolari. Tutto questo viene reso possibile grazie all’utilizzo di Intelligenze Artificiali in grado di individuare i contenuti considerati sconvenienti. Da un lato, l’utilizzo di queste tecnologie previene la diffusione di contenuti inopportuni e anche violenti, dall’altro però impedisce alle piattaforme di essere quei luoghi neutrali e liberali che dichiarano di essere. Naturalmente, oltre alle AI, vi è poi la questione dell’intervento diretto di chi gestisce i social network, l’intervento “manuale”. In questo caso, le azioni sono dettate da precise ideologie, molto spesso politiche. La comunicazione, dunque, diventa propaganda indiretta. Eventi politici, guerre, atti di terrorismo: la diffusione di queste notizie viene rallentata per evitare il contagio di massa. È il caso degli attacchi subiti in Sri Lanka a chiese e hotel durante la Pasqua del 2019. In quell’occasione, Facebook impedì la ricondivisione di storie e post al fine di evitare che il contenuto (giudicato troppo scottante) si diffondesse troppo velocemente. Naturalmente, non tutto il male viene per nuocere. Twitter, ad esempio, nella stessa circostanza aveva costretto i suoi users a leggere gli articoli prima di ricondividerli per evitare la diffusione di fake news. La questione rimane aperta e vede in tutto il mondo l’aumento di richieste (a volte vere e proprie azioni legali) da parte dei governi di eliminare contenuti sconvenienti dai social. Il potere generato dai questi grandi colossi è dunque immenso e, per questo, pericoloso.

 

Libertà e autocensura

Come impatta tutto questo sul nostro modo di guardare e utilizzare questi strumenti? Senza ombra di dubbio, i social network rappresentano un’enorme opportunità. Alla luce di questi avvenimenti, tuttavia, è evidente come molti utenti siano sempre più portati ad agire con prudenza e il sistema inneschi dei meccanismi di autocensura rilevanti. Nel 2014, il centro di ricerca indipendente americano Pew Research Institute aveva avviato uno studio sul modo in cui le persone discutono in pubblico sui sistemi di sorveglianza utilizzati dalla National Security Agency. L’86% di chi aveva partecipato al sondaggio era disposto a condividere le proprie idee al di fuori della rete con amici, familiari e colleghi, ma solo il 46% si dichiarava disponibile a discuterne su Facebook o Twitter. Secondo questo studio, queste piattaforme non rappresentano dei luoghi in cui poter condividere liberamente il proprio pensiero, ma ambienti in cui le opinioni possono essere fraintese o evitate. E ancora, secondo il Global Chilling del PEN America, un’organizzazione mondiali che tutela i diritti umanitari e della libertà di espressione, “i livelli di autocensura rivelati dagli scrittori che vivono in paesi democratici sono simili a quelli manifestati dagli autori che abitano in stati autoritari o dove non sono garantite tutte le libertà fondamentali“. Questo sarebbe il risultato di una ricerca  sui sistemi di controllo che ha coinvolto circa 800 autori provenienti da ogni parte del pianeta.

L’autocensura e la paura di poter esprimere liberamente il nostro pensiero sono alla base di altri enormi problematiche quali il potere dei media, l’opinione pubblica, le mode e la distinzione, ormai sempre più radicata, tra il cosiddetto “pensiero forte” e il “pensiero debole”. In un contesto e in un mondo dove il desiderio di dialogo si unisce al desiderio di fama, il pensiero considerato debole viene censurato per creare una “spirale del silenzio“. Tutto questo potrebbe rappresentare il sintomo di una trasformazione: quella dei nostri comportamenti e dei legami con la società.

 

 

A cura di

Alice Corio


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